Cinema, televisone, teatro: Giordano Petri si dedica a tutte e tre con estrema duttilità.
Classe ‘79 e nipote d’arte del regista Elio Petri, Giordano è travolto dal fuoco della recitazione sin dalla più tenera età.Dopo il diploma alla Scuola Nazionale di Cinema dove lavora con numerosi maestri come Luca Ronconi, Leo Gullotta e Anna Galiena, ha numerose esperienze teatrali: interpreta il ruolo di coprotagonista ne La Signora dalla Camelie con Monica Guerritore e sempre con lei lo ritroviamo in La Giovanna D’Arco. Ricopre il ruolo di Emone nell’Antigone di Sofocle con Alessandro Haber ed è accanto a Lando Buzzanca ne La zia di Carlo.
La Voce ha intervistato il bel tenebroso. A lui la parola.
Giordano, ti sei dedicato sia al cinema, che alla tv che al teatro. Cosa hanno in comune e in cosa differenziano?
Principalmente l’amore incondizionato è per la recitazione e, a seguire, per tutte le forme di spettacolo. In realtà il teatro è la mia dimensione ideale, perché mi permette di interagire direttamente col pubblico. Il teatro è stato il mio primo passo verso il mondo dello spettacolo e ricordo ancora l’ansia di riuscire a portare in scena una recitazione convincente in grado di trasmettere emozioni. Il segreto, secondo me, è quello di emozionarsi sempre per poter, a mia volta, emozionare. Vivo ogni giorno questa fantastica esperienza lavorativa come se fosse l’ultima e cerco di conquistarla come se fosse la prima volta. La magia del palco di un teatro riesce a darti la possibilità di dimostrare realmente le tue capacità; è a teatro che entri in contatto con persone reali con cui devi riuscire a stabilire un rapporto immediato. E ogni sera hai un pubblico diverso con cui devi riuscire a creare empatia. Con la macchina da presa puoi bluffare, ci si può fermare, ripetere la scena. Il teatro è un viaggio. Parti da lontano, leggi, rileggi, provi. Quando inizi ad interpretare un personaggio ti ci butti completamente: dal debutto fino all’ultima replica sei quel personaggio. Questa alchimia tra te e il personaggio non riesci a trovarla facilmente al cinema o in tv. È un lavoro diverso, a volte snervante. Non si riesce a trovare subito la concentrazione o il giusto stato d’animo in ogni momento. In entrambe le forme di recitazione, deve sempre esserci una sana e costruttiva emozione: le farfalle nello stomaco che senti prima di entrare in scena sono il motore che ti fa andare avanti sempre. Tuttavia non riesco a fare questa scelta: non posso fare a meno né dell’uno né dell’altro mezzo.
Preferisci l’emozione del pubblico in sala oppure lo sguardo della macchina da presa?
Il cinema è ancora un sogno, forse una chimera. Ti consente di avere una cura e una ricerca che in tv oramai, stante i tempi stretti e l’abbassamento della qualità, difficilmente si può ritrovare. Il teatro è il vero test: se sai stare su un palco sei un attore. Ci vorrebbe un battage pubblicitario a tappeto, un po’ come quei giornali di gossip che parlano di reality. Ecco, ci vorrebbe una cultura del teatro, e incuriosire la gente, farla avvicinare. Ma è dura. Sono sempre partito dal presupposto che un attore deve avere il dono dell’ecletticità, misurarsi con personaggi diversi tra loro ti dà la possibilità di conoscere sempre più le proprie capacità e sfidare i propri limiti. Vivere esperienze e stati emotivi che nella vita reale probabilmente non riusciresti a sperimentare è la parte più interessante di questo lavoro. Quindi le mie scelte lavorative sia in teatro che nel cinema sono state sempre dettate da questa mia curiosità interiore di sperimentarmi in ruoli sempre più diversi a volte distantissimi da me. Beh, il teatro è il mio primo amore e ti dà la possibilità di crescere ogni sera insieme al personaggio a secondo dell’empatia che stabilisci con il pubblico ed il tutto avviene in maniera diretta, veloce neanche hai il tempo di pensare. Il cinema è il sogno che si trasforma in realtà, e ti dà la possibilità a volte con un piccolo movimento o sguardo o respiro di mostrare un mondo di emozioni che in teatro per farle arrivare dovresti ampliarle uscendo dalla naturalità del piccolo gesto.
Hai mai pensato di fuggire per inseguire una carriera all’estero come tanti tuoi colleghi italiani?
La tua ultima fatica è stata ‘Rosso San Valentino’, che esperienza è stata?
E' stata una bellissima esperienza, ricca ed entusiasmante. Mi aspettavo che facesse un buon risultato, perché già quando ho letto il copione mi sono subito appassionato alla storia. Immaginavo che sarebbe piaciuta anche al pubblico. Tantissimi personaggi, uno più bello dell’altro e quindi credo che il successo sia dovuto a questo. In questo modo vengono attirate più persone: gli adolescenti che si rivedono nella storia d’amore dei ragazzi, i bambini per i giovani protagonisti, le persone adulte che invece ripercorrono certe tappe legate a certi sentimenti ed emozioni e quindi la fiction richiama a sé tutte le generazioni. È stata un’esperienza molto piacevole, di grande intesa con il cast. Ho avuto la possibilità di collaborare con molti giovani attori ma anche con altri provenienti da esperienze diverse. Il mix ha fatto sì che si respirasse sempre un’atmosfera fresca, di continua sorpresa...
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